Onorevoli Colleghi! - Nel nostro ordinamento, le persone che intendono divorziare devono celebrare due cause, una di separazione e una di divorzio, ciascuna con tre possibili gradi di giudizio, secono un iter che può protrarsi per buona parte della vita.
      Se, nel diritto penale, il processo spesso rappresenta una punizione in sé, a prescindere dall'esito di esso, altrettanto può avvenire nell'ambito civile, specie in una materia così coinvolgente come quella in oggetto.
      Avviene, così, che molte persone, dopo aver affrontato le spese e lo stress conseguenti al primo giudizio, non regolarizzino la propria posizione e restino in uno stato intermedio, con confusione di situazioni e diritti, non per scelta, ma solo per inerzia e stanchezza.
      La duplicazione di giudizi non ha giustificazioni e, oltre a penalizzare il cittadino, mortifica l'idea stessa di diversità tra separazione e divorzio, non lasciando libere le persone che intendono divorziare di accedere immediatamente a questo tipo di giudizio e non riservando il primo a coloro i quali non vogliono (o almeno non vogliono ancora) il divorzio e desiderano una regolamentazione temporanea dei loro rapporti, in attesa di decisioni future.
      Il procedimento di divorzio contiene già in sé tempi di riflessione e di pausa, senza che si debba artificiosamente ricorrere a una duplicazione di giudizi.
      Oltre a ciò, si osserva che, nella cause in materia di diritto di famiglia, è opportuno iniziare il cammino che conduce, come già avvenuto in altri Paesi europei, dalla cultura dell'intervento autoritativo dello Stato a quella della mediazione e dell'aiuto per una ricerca di soluzione a opera delle parti stesse.
      Per raggiungere tale obiettivo la presente proposta di legge reca una modifica all'articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, che disciplina i casi di scioglimento del matrimonio.

 

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